La ragazza con l'oreccchino by CHEVALIER Tracy

La ragazza con l'oreccchino by CHEVALIER Tracy

autore:CHEVALIER Tracy
La lingua: ita
Format: mobi
editore: Neri Pozza Editore
pubblicato: 2000-12-04T23:00:00+00:00


Era dicembre e faceva freddo, ma ciononostante camminavo così veloce ed ero tanto crucciata a proposito di Frans che fui di ritorno al Quartiere dei Papisti molto prima di quanto avrei dovuto. Ero accaldata e incominciai a togliermi di dosso lo scialle per prendere un po’ d’aria sul viso. Mentre percorrevo la Oude Langendijck, vidi avanzare Van Ruijven e il padrone. Chinai la testa e passai sull’altro lato della strada per incrociarli dalla parte del padrone e non di Van Ruijven, ma proprio l’attraversamento della strada attirò l’attenzione di quest’ultimo. Si fermò, costringendo anche il padrone a fermarsi.

«Tu… ragazza dagli occhi grandi», mi apostrofò, rivolgendosi a me. «Mi avevano detto che eri fuori. Mi sa che mi volevi evitare. Come ti chiami, ragazza mia?»

«Griet, signore». Tenevo gli occhi fissi sulle scarpe del padrone. Erano lucide e nere: le aveva pulite Maertge quella mattina, istruita da me.

«Bene, Griet, hai cercato di evitarmi?»

«Oh no, signore, sono stata a sbrigare delle commissioni». Mostrai un secchiello di cose che avevo comprato per Maria Thins prima di andare da Frans.

«Spero di vederti più spesso, allora».

«Sì, signore». Dietro agli uomini c’erano due donne. Ne sbirciai i volti e pensai che fossero la figlia e la sorella che avevano posato per il quadro. La figlia teneva gli occhi sgranati su di me.

«Non hai dimenticato la tua promessa, spero», disse Van Ruijven al padrone.

Lui scrollò la testa come un burattino. «No», rispose dopo un momento.

«Bene. Spero che ti darai una mossa prima di invitarci di nuovo». Il sorriso di Van Ruijven mi fece rabbrividire.

Seguì un lungo silenzio. Volsi lo sguardo al padrone. Si stava imponendo di mantenere la calma, ma io capivo che era adirato.

«Sì», disse infine, gli occhi fissi sulla casa dall’altro lato della strada. Non guardava me.

Non capii questa conversazione nella via, ma sapevo che mi riguardava. Il giorno dopo capii tutto.

La mattina seguente mi disse che nel pomeriggio dovevo andare di sopra. Pensavo che mi avrebbe messo a lavorare con i colori, che stesse per dare inizio al quadro raffigurante il concerto. Quando giunsi nell’atelier però, lui non c’era. Andai direttamente nel sottotetto. Sul tavolino di marmo non trovai nulla, non mi aveva lasciato niente da macinare. Ridiscesi dalla scaletta, senza sapere che cosa pensare. Lui intanto era arrivato e se ne stava fermo in piedi, a guardare fuori da una finestra.

«Accomodati, prego, Griet», disse, continuando a volgermi le spalle.

Mi sedetti sulla sedia vicino al clavicembalo. Non lo toccai, non avevo mai toccato uno strumento musicale se non per pulirlo. Mentre aspettavo, osservai i quadri appesi sul muro che avrebbe fatto da sfondo al quadro del concerto. A sinistra c’era un paesaggio e a destra tre figure: una donna che suonava un liuto, con un vestito che le scopriva generosamente il petto, un uomo che l’abbracciava, e una vecchia. L’uomo stava cercando di sedurre la giovane, mentre la vecchia tendeva la mano per ricevere la moneta che lui teneva in mano. Padrona di quel quadro era Maria Thins, ed era stata lei a dirmi che si intitolava La mezzana.



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